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Alle soglie del 2020, numerosi ed affermati studi ci informano che il 70% circa dei rifiuti presenti nei nostri oceani è composto da prodotti di plastica usa e getta. È quindi facile intuire come il problema sia urgente e grave.

Il processo di decomposizione della plastica è lentissimo, di conseguenza il suo accumulo nelle acque aumenta, rilasciando così frammenti di residui che vengono ingoiati dalle specie marine presenti, che a loro volta verranno mangiate da noi, entrando inevitabilmente a far parte della catena alimentare.

La questione è seria poiché ne possono derivare anche gravi problemi di tipo sanitario. La produzione di prodotti inquinanti ha un impatto negativo sull’ecosistema, per questo motivo aziende e piccoli imprenditori stanno iniziando a prendere in considerazione soluzioni alternative più valide.

toxic plastic waste floating underwater in the J9R782G

Ed ecco che entrano in gioco le bioplastiche. Le plastiche di questo tipo sono in grado di essere biodegradabili al 100% ed inoltre sono prive di elementi tossici. L’idea non è del tutto nuova ma, a causa di alternative più economiche, seppur inquinanti, finora è stata decisamente ignorata.
La bioplastica di canapa può essere impegnata per la realizzazione di articoli usa e getta come ciotole, cannucce e bottiglie ma anche per oggetti a lunga durata ad esempio cellulari, tubazioni e automobili.

La creazione di bioplastica ha un impatto sull’ambiente minore se paragonato alle plastiche comuni, ricerche recenti hanno dimostrato che queste sono in grado di ridurre le emissioni di anidride carbonica, inoltre possono essere prodotte attraverso risorse carbon-negative come la canapa.
La bioplastica di canapa è sia biodegradabile che riciclabile ed è in grado di sostituire buona parte dei materiali realizzati a base di petrolio, si tratta di un composto di fibre naturali i cui prezzi sono accessibili, la materia plastica viene infatti ricavata dal gambo della pianta in quanto composto da un’elevata presenza di cellulosa.

La canapa è in grado di crescere in quasi tutti i terreni, dal momento della coltivazione al raccolto trascorrono solo 4 mesi. La facilità di coltivare questo tipo di pianta, e quindi la sua disponibilità, è uno dei suoi punti forti. Queste piante sono delle specialiste nell’assorbire anidride carbonica e non necessitano di pesticidi o fertilizzanti come altre risorse bioplastiche, ad esempio il legno o il cotone. Normalmente viene usata la plastica derivata dal petrolio, ovvero una fonte non rinnovabile destinata ad esaurirsi, mentre la plastica di canapa può essere usata nella stessa maniera con la differenza che è rinnovabile e non provoca inquinamento.

hemp products

 

Secondo Matteo Gracis, autore del libro Canapa. Una storia incredibile, la canapa potrebbe davvero essere un’alternativa sostenibile al consumo della plastica, come rilasciato in una recente intervista ad Open:

«La canapa può essere una rivoluzione globale», dice l’autore «Non è una materia di nicchia. Nell'ambito del cambiamento climatico, la canapa potrebbe diventare uno dei nostri più grandi alleati, se sostituisse sarebbe una strategia vincente». Ma quali sono i rischi e i vantaggi di un'economia che guarda alla canapa per mettere in pratica una svolta green?

La canapa un'alternativa alla plastica. è un'opzione credibile?

«Oggi uno dei materiali che inquina di più viene fatto con il nylon che è un derivato del petrolio. Fino all'800 le reti da pesca erano fatte con la canapa. Una volta finito di usarle venivano gettate nell'oceano e nel giro di qualche anno diventavano cibo per i pesci. Quello che bisogna fare è cambiare tutta l'industria della produzione: ad esempio il portachiavi della mia auto è fabbricato di bioplastica ed è realizzato da una start-up siciliana. Ma lo stesso vale anche per la bioedilizia, il biocarburante (bioetanolo di canapa) e l'industria tessile che è tra le più inquinamenti al mondo. Non va dimenticato che i primi jeans Levi's avevano le tasche in canapa per poter sopportare il peso delle pepite d'oro dei ricercatori».

Industria della canapa e mercato del lavoro: quali conseguenze sull'occupazione?

«Da quando alcuni Stati americani hanno legalizzato la canapa il governo americano ha beneficiato di un introito di 4.07 miliardi di dollari dalla vendita della cannabis. Se si guarda ai dati statunitensi nel 2017 la legalizzazione ha portato a un incremento del 20 per cento dei posti di lavoro: sono stati 200 mila le nuove posizioni aperte grazie al mercato della canapa. É innegabile che la legalizzazione crei posti di lavoro.

Ma non è così per la cannabis light che è inserita in un mercato regolato da completa anarchia. E neppure per la cannabis terapeutica: è l'emergenza numero uno in Italia. La coltivazione è in mano a un monopolio statale gestito dall'esercito. Ci sono molte persone che hanno prescrizioni mediche regolari ma a causa dei prezzi elevati, molto spesso, non possono permettersi le cure.

Perché è così difficile far entrare la canapa nel dibattito istituzionale?

«Incredibilmente ci sono delle false notizie che erano state presentate al pubblico già negli anni 40 e che sono ancora dure a morire. I grandi cavalli di battaglia dei proibizionismi sono stati smontati da tempo: ad esempio, non è vero che sia la porta d'accesso al consumo di droghe più pesanti. Anzi, nei paesi in cui è legalizzata troviamo una diminuzione del consumo delle altre sostanze nocive. Si dice che con la legalizzazione ci sarebbe abuso, ma i dati parlano del processo inverso».

Resilienza Italia Onlus è profondamente convinta che la Canapa sia una risorsa estremamente utile per l'ambiente e l'economia e che necessiti di una legislazione adeguata per poter essere valorizzata al meglio. Se anche tu sei d'accordo, aiutaci oggi a realizzare il nostro sogno, il 2020 può davvero essere un anno di svolta per il nostro ambiente. Un mondo più sostenibile è possibile.

 

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